Chi invoca la sovranità monetaria teorizza un assunto apparentemente inconfutabile: con una propria Banca centrale, un Paese (chiamiamolo per brevità Italia) avrebbe la possibilità di stampare illimitatamente soldi da distribuire alla popolazione e svalutare il corso di cambio della propria moneta sovrana (chiamiamola per brevità lira), per favorire l’economia e ridurre il debito pubblico, che a sua volta potrebbe essere rimborsato stampando moneta.
Se ciò fosse realmente possibile, ogni nazione del pianeta vivrebbe in un’autentica bambagia: i soldi pioverebbero dal cielo e soltanto i Paesi che avessero la sfortuna di incappare in governanti stolti e ostinati a non applicare questa semplice teoria sarebbero coinvolti in noiose e complicate attività di quadratura dei conti del bilancio.
Il punto è che la teoria sbandierata dagli irriducibili assertori della sovranità monetaria è un mero castello di illusioni e, alla prova dei fatti, laddove la si è applicata ha generato un grave peggioramento economico e, finanche, drammatica povertà tra i cittadini.
Quali sono gli effetti dell’immissione incondizionata di moneta (“stampare moneta”) in un Paese di libera economia di mercato? I prezzi sono stretta conseguenza dell’incrocio della domanda e dell’offerta; pertanto, la maggiore disponibilità di denaro determina un aumento della spesa da parte dei cittadini (una crescita della “domanda”), per conseguenza una crescita dei prezzi, in gergo tecnico un aumento dell’inflazione. Ciò determina che con la medesima quantità di denaro si possono acquistare meno quantità di prodotti. Detto in parole semplici, aumentando la quantità di moneta (chiamiamola lira) circolante, diminuisce il valore (“potere di acquisto”) dei soldi e dei risparmi dei cittadini.
Quali sono gli effetti della svalutazione del corso di cambio della moneta nazionale? Il corso di cambio di una moneta non lo si può decidere unilateralmente a tavolino con un tratto di penna. A stabilirlo sono i mercati, cioè la somma delle contrattazioni che si svolgono 24 ore al giorno per 365 giorni all’anno in ogni angolo del pianeta. Certo, un Paese o una Banca centrale possono cercare di indirizzare l’andamento dei mercati attraverso, rispettivamente, decisioni di politica economica o monetaria. Al tempo stesso, è però molto difficile contrastare le dinamiche dettate dai mercati, che in taluni casi possono determinare effetti devastanti.
L’Italia ha una bilancia commerciale interscambio.pdf (mise.gov.it) con un modesto attivo (465 miliardi di export e 426 miliardi di import nel 2018) e importa buona parte delle materie prime, a cominciare dal petrolio. Ove in un contesto di sovranità monetaria riuscisse a pilotare una modesta svalutazione, supponiamo del 20%, ci si troverebbe di fronte a uno scenario scolasticamente elementare.
- Vi sarebbe un immediato aumento dei prezzi di tutti i beni importati e, in particolare, dei prodotti petroliferi, con inevitabili impatti sul costo dell’energia e dei trasporti. Vi sarebbe, cioè, quella che tecnicamente si definisce “inflazione importata”. Con le grandezze (PIL vs import) espresse dall’Italia nel 2018 si può stimare che ogni 5 punti percentuali di svalutazione della propria moneta comporterebbero 1 punto percentuale di inflazione importata. Una svalutazione del 20% provocherebbe pertanto in poche settimane un aumento dell’inflazione del 4%.
- Il potere di acquisto degli italiani diminuirebbe, per conseguenza, del 4%.
- Le imprese esportatrici beneficerebbero di un vantaggio competitivo sui concorrenti stranieri. Ma, poiché gran parte delle materie prime sono importate, per molte aziende il vantaggio tenderebbe ad appiattirsi con l’esaurimento delle scorte di magazzino acquistate ante svalutazione. Per tutte le aziende vi sarebbe l’impatto negativo dell’aumento dei prezzi dell’energia e dei trasporti. Gli effetti prorompenti della svalutazione della valuta sulla crescita economica andrebbero pertanto ad afflosciarsi nel volgere di pochi mesi.
Vero che il debito pubblico espresso in moneta nazionale si svaluterebbe anch’esso del 20%; ma il debito pubblico italiano è per circa 2/3 nelle tasche (direttamente o tramite società di risparmio gestito e Fondi pensione) dei risparmiatori italiani, che verrebbero quindi penalizzati. E a perdere valore sarebbero indistintamente tutti i risparmi espressi in lire (depositi bancari, postali, valori obbligazionari e azionari etc.), compresi i soldi che i cittadini avrebbero in cassaforte o in tasca.
Riassumendo, con la svalutazione della moneta (lira) il debito pubblico italiano ne avrebbe un beneficio, ma a pagarne il prezzo sarebbero stipendi, pensioni e risparmi degli italiani. L’economia avrebbe un rilancio temporaneo e il minor potere d’acquisto di stipendi, pensioni e risparmi si tradurrebbe in una riduzione dei consumi, per conseguenza una decrescita economica.
Scenario di sintesi: decrescita economica e cittadini impoveriti. Di quanto?
Non lo deciderebbe il Governo o la nostra Banca centrale, bensì i mercati valutari.
Nell’esempio si è ipotizzata una svalutazione del 20%; non sono rari i casi in cui sui mercati si sono innescate dinamiche devastanti e incontrollabili, che hanno portato a svalutazioni dei corsi di cambio a livelli inimmaginabili, con speculare riflesso sull’inflazione e conseguente perdita del potere di acquisto per i cittadini. Un esempio concreto e aggiornato? L’Argentina, la cui valuta (peso) nel 2018 si è deprezzata del 275% causando un tasso di inflazione del 51%. Nel 2019 in Argentina l’inflazione è ulteriormente cresciuta del 54,5%.Peso argentino (ARS) – cambio peso | Cambio-Euro.it
Alternativa evocata dai fautori del sovranismo monetario è il rimborso del debito pubblico “per cassa”. In altri termini, ripagare il debito in scadenza e far fronte ai nuovi fabbisogni stampando moneta. I sovranisti non portano prove dimostrative che questo metodo possa funzionare; d’altro canto non c’è un solo Paese al mondo che abbia sperimentato con successo questa teoria. Viceversa, sono ben visibili i danni di chi l’ha applicata.
Ultimo in ordine di tempo a far piovere i soldi dal cielo è stato il Governo del Venezuela. Che non era la nazione più ricca al mondo ma neppure tra le più povere. Non fosse altro perché era il secondo esportatore al mondo della materia prima di gran lunga più utilizzata sul pianeta: il petrolio. Nel secolo scorso il Venezuela richiamava immigrati da tutta Europa, tant’è che all’ultimo censimento, tra i 28 milioni di abitanti ben 1 milione era di origine italiana. Il Venezuela non era la Svizzera, ma di certo una nazione florida con un PIL pro capite che ancora nel 2014 si attestava a 16 mila dollari, uno dei più elevati tra i Paesi tropicali.
Alla fine del 2017 l’inflazione in Venezuela aveva raggiunto il 2.735% (duemilasettecentotrentacinque%). Nel 2018 la crescita dei prezzi è salita sopra 1.000.000% (un milione%). I soldi che un venezuelano si metteva in tasca uscendo di casa alla mattina, quando alla sera rientrava valevano il 3.000% in meno. Ad agosto del 2018 la moneta è stata sostituita dal “nuovo bolivar sovrano”, a fine anno si era già svalutato del 90%. A un anno di distanza (agosto 2019) il tasso di inflazione in Venezuela era del 1.579% (millecinquecentosettantanove%). Il popolo è allo stremo, si stima che a causa della malnutrizione abbia mediamente perso 8 kg di peso Così la fame sta stremando i venezuelani (avvenire.it). Tra il 2017 e il 2019, i dati sono dell’ONU, 5 milioni di venezuelani sono migrati nelle vicine Colombia, Perù, Equador e Brasile. È il più grande esodo di massa di questi decenni insieme a quello dalla Siria.
Come è potuto succedere? Tutto è iniziato nel 2014 con la “brillante” idea di far fronte alla crisi economica e al deficit pubblico non con il ricorso al debito, ma stampando moneta. Inerzialmente, la maggior moneta circolante ha prodotto un aumento della domanda (leggi: più possibilità di spesa da parte dei cittadini) e avviato un’inevitabile, conseguente lievitazione dei prezzi. Per compensare il calo del potere di acquisto dei venezuelani, pensioni e salari sono stati aumentati. Il vortice aumento dei prezzi, adeguamento dei salari, nuovo aumento dei prezzi e così via ha innescato una spirale incontrollata.
In conclusione, disporre del controllo della propria moneta, avere una sovranità monetaria non consente di manovrare a piacimento le leve dell’economia e di calpestare le leggi fisiche della finanza. Chiunque si sia illuso di poterlo fare, Argentina e Venezuela sono solamente i due ultimi esempi in ordine di tempo, ha fatto pagare un conto salato ai propri cittadini.
La propaganda ha i suoi riti e necessita di sventolare bandiere. Per parte nostra si è qui a ricordare al lettore di non confondere la propaganda con l’informazione.
(ph: ebay)